Sono Giulia, sposata e mamma di due bambini. Nel 2009, la diagnosi di un cancro al seno ha sconvolto la mia vita e quella della mia famiglia.

Rimosso il tumore, il successivo intervento di ricostruzione mammaria propostomi dai medici di un’importante casa di cura ha avuto esiti disastrosi. I chirurghi plastici, difatti, hanno deciso di procedere a tale fase troppo presto e hanno scelto una tecnica – cosiddetta del lembo – non adatta alla mia condizione fisica. Il risultato è stato fallimentare.

Dopo avermi sottoposta ad un calvario fisico e psicologico estenuante, la comparsa di necrosi e cancrena ai tessuti impiantati mi hanno portato, disperata, a rivolgermi ad un’altra struttura, che ha cercato di arginare la situazione. Lo “scempio”, tuttavia, era ormai irrimediabile, ritrovandomi senza un seno e con cicatrici orribili a vedersi.

Patire un doppio dolore, quello della malattia e dell’errore medico, mi ha trascinata in una spirale di depressione.

Solo grazie alla fiamma di speranza accesa dall’Associazione La Giustizia degli Ultimi ho rialzato la testa, e sono riuscita a far accertare dal tribunale l’errore che avevo subito e ho ripreso in mano le redini della mia esistenza, sentendomi di nuovo donna. Ora so che ci può essere Giustizia anche per chi, in un momento della vita, si è sentito ultimo.

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